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All IPCC definitions taken from Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Working Group I Contribution to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Annex I, Glossary, pp. 941-954. Cambridge University Press.

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Non esiste alcuna area calda troposferica

Che cosa dice la Scienza...

Le misurazioni da satellite concordano con i risultati dei modelli ad eccezione che nella fascia tropicale. Esiste un certo grado di incertezza nell’uso dei dati ai tropici dovuto al modo in cui i diversi gruppi di ricerca effettuano le compensazioni per tener conto del drift del satellite. Il programma degli U.S.A. Climate Change Science Program conclude che questa discrepanza è molto probabilmente dovuta a errori nei dati.

Le argomentazioni degli scettici...

La IPCC conferma che i modelli computerizzati prevedono la esistenza di una zona della media troposfera  denominata “hot-spot” a circa 10 km di altezza. A tuttoggi nelle registrazioni delle radiosonde raccolte all’Hadley Center il previsto hot-spot, segno del riscaldamento dovuto all’effetto serra antropogenico, brilla per la sua assenza (source: Christopher Monckton)
  Il cosiddetto hot spot (punto caldo) lo si osserva su scala temporale ridotta, in tempi più lunghi i dati sono più incerti ma ancora in accordo con i risultati dei modelli.
L’hot spot  troposferico  è dovuto a cambiamenti del gradiente verticale di temperatura (Bengtsson 2009, Trenberth 2006, Ramaswamy 2006). Tanto più si sale nell’atmosfera tanto più bassa è la temperatura dell’aria. Questo rapporto della diminuzione con l’altezza  è chiamato gradiente verticale. Quando l’aria diventa sufficientemente fredda il vapore acqueo condensa e rilascia il calore latente. Più umidità c’è nell’aria maggiore è la quantità di calore rilasciato. Siccome ai tropici l’aria è maggiormente umida, l’aria si raffredda (con l’altezza) ad un ritmo minore che ai poli. Per esempio all’equatore la diminuzione è circa 4°C per km mentre nella zona subtropicale la diminuzione è circa 8-9°C per km
Quando la superficie terrestre si riscalda c’è maggior evaporazione e quindi una maggior quantità di vapore acqueo nell’aria. Ciò fa sì che diminuisca il gradiente verticale in quanto c’è meno raffreddamento salendo. O anche che il riscaldamento in alto è maggiore che in superficie. Questa tendenza, amplificata, è ciò che viene chiamato “hot spot”. Quindi è qualcosa che ha a che fare con il gradiente verticale di temperatura, indipendente quindi da che cosa provoca il riscaldamento globale. Se il riscaldamento globale fosse causato dalla attività del Sole o da diminuzione degli aerosol solfati, vedremmo comunque l’hot spot.

C’è una figura nel 4° AR della IPCC che mostra la risposta in temperatura che ci si aspetta dai vari tipi di forcings che influiscono sul Clima. Questa figura spesso viene male interpretata. Vediamola in dettaglio.

Figura 1: modificazioni della temperatura atmosferica dal 1890 al 1990 dovute a :  (a)  forcing solare , (b) vulcani, (c) gas serra, (d) Ozono, (e) aerosol solfati, (f) somma di tutti i forcings (IPCC AR4).

L’origine della confusione è il box (c) , che mostra il cambiamento di temperatura dovuto ai gas serra. Notare l’evidente hot spot presente. Significa che i gas serra provocano l’hot spot? Non direttamente. I gas serra causano riscaldamento superficiale che a sua volta modifica il gradiente verticale che quindi porta al verificarsi dell’hot spot. La ragione per la quale l’hot spot nel box (c) è così accentuato deriva dal fatto che il riscaldamento da effetto serra è molto più grande rispetto agli altri forcings.

L’hot spot non è l’unica impronta dell’effetto serra e la presenza dell’hot spot non prova che l’Uomo stia provocando il riscaldamento globale. L’osservazione dell’hot spot ci indica che abbiamo una buona conoscenza di come vari il gradiente verticale di temperatura. Siccome l’hot spot è stato rilevato bene anche su scale temporali brevi  (Trenberth 2006, Santer 2005), ciò ci rende confidenti di essere sulla giusta strada. Resta aperta la questione del lungo termine.
Che cosa ci dice il quadro completo delle evidenze? Possediamo dati da satellite, misure di temperatura e vento  con palloni sonda. I tre set di dati satellitari di UAH, RSS, e UWA danno risultati differenti. UAH mostra trends troposferici inferiori al riscaldamento in superficie. RSS da circa lo stesso risultato, e UWA mostra un hot spot. La differenza tra i 3 Istituti dipende dal modo in cui aggiustano i dati per effetto del decadimento delle orbite satellitari. La conclusione del U.S. Climate Change Science Program (di cui è co-autore John Christy dell’Univ Alabama) è che la spiegazione più plausibile della discrepanza tra modelli e osservazioni satellitari, risiede nella incertezza delle misure.
Le misure con palloni sonda sono influenzate da effetti come il riscaldamento del pallone dipendente dall’ora del giorno. Quando si apportano le opportune correzioni, i  dati da palloni sonda sono coerenti con quelli dei modelli (Titchner 2009, Sherwood 2008, Haimberger 2008). Recentemente sono state effettuate misurazioni di wind shear con palloni sonda. La relazione diretta esistente tra wind shear e temperatura ha permesso di ricostruire in modo empirico il profilo di temperatura della atmosfera. Con questo metodo è stato evidenziato un hot spot (Allen 2008).
Tenendo conto di tutte queste evidenze, la conclusione non è del tutto soddisfacente in quanto c’è ancora molta incertezza nel lungo termine. E’ evidente che, quando la variabilità a breve termine è quasi di un ordine di grandezza maggiore a quella a lungo termine, la questione è difficile da affrontare. I palloni sonda ed i satelliti svolgono il loro lavoro in maniera soddisfacente misurando cambiamenti di breve termine e rilevano l’hot spot su scala temporale dell’ordine del mese. Esistono talune evidenze di hot spot per intervalli temporali dell’ordine del decennio ma il lavoro da fare in proposito è ancora molto. Comunque i dati ed i risultati non sono abbastanza definiti da poter escludere la presenza dell’hot spot.
Prendiamo per buono il messaggio che la prima cosa da fare è che dobbiamo capire che cosa provoca l’hot spot. Il cambiamento del gradiente verticale di temperatura non è così attraente o intuitivo come segnale dell’effetto serra ma questa è lo stato dei fatti. Una volta che si sia capita la causa è possibile vedere il problema nel contesto appropriato. Se l’hot spot è dovuto a cambiamento del gradiente ci si aspetta di vedere l’hot spot nel breve periodo. E questo è quello che succede.
Cosa accade con hot spot nel lungo periodo? Con le osservazioni sul breve periodo che confermano la origine nel gradiente verticale di temperatura, ciò che rimane è ipotizzare la presenza di indefiniti fattori di lungo periodo come causa più probabile. Comunque, dal momento che le osservazioni vanno migliorando, se emerge che l’hot spot di lungo periodo non è cosi forte come atteso, la questione che resta aperta è: perché si osservano hot spot di breve periodo e non hot spot di lungo periodo?

 

 

 

 

 


 

Translation by lciattaglia, . View original English version.



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